martedì 10 aprile 2012

Parole, musica, emozioni.


Scrivo questo post senza sapere cosa ne uscirà, ben conscio che potrebbe anche risultare uno sproloquio fine a se stesso. Non sono nemmeno sicuro di volerlo scrivere questo benedetto post: primo perché è mettere a nudo un pezzo di me stesso e mettersi a nudo prima di conoscersi per bene non è mai bello (e vista la scarsa frequenza con cui transito da queste parti, noi decisamente non ci conosciamo così bene…); secondo, perché ho una paura fottuta di cadere nel banale o – peggio – nel patetico.  E siccome qui il rischio è quello di centrare una magnifica doppietta, lascerei perdere senza nemmeno pensarci. Vigliaccamente è vero, ma con stile.

E invece scrivo, in una sorta di atto dovuto verso quella coppia di menabelini (per i non genovesi, anche se la traduzione intuitiva è senz’altro corretta, leggasi “rompicoglioni”) di My name is Nick e Amarillys. Stufi, a ragione, di sentire i miei monologhi, de tempo mi suggeriscono di molestare i lettori di in-coscienza. E io, con la puntualità che mi si riconosce, obbedisco.

Iniziando dall’inizio, of course…

Avevo dodici anni quando Francesco Guccini ha deciso di manifestarsi in casa mia, con il disco per me più riuscito: “D’amore, di morte e di altre sciocchezze”. Era bellissimo.

L’ho avvicinato per caso, con frammenti rubati all’ascolto di M.L. Mentre lei, affabile, ripeteva parole che le sembravano cucite addosso, io mi lasciavo cullare da una melodia che trovavo rassicurante. Non prestavo attenzione alle parole, convinto com’ero che fossero semplice accompagnamento alle note. La canzone per me era musica, era il rincorrersi di strumenti, il mischiarsi di suoni e di note. Le parole rimanevano un qualcosa di vago e sfumato, sapevo che c’erano ma non le sentivo.

Poi, senza nemmeno rendermene conto, gli arrangiamenti sono diminuiti di tono e intensità, lasciando che fosse il testo di ogni singolo pezzo ad esplodere in tutta la sua potenza. Sognavo di essere il protagonista di “Cirano”, mi sorprendevo a sorridere ascoltando “Il matto”, e incontravo tutti i miei dubbi esistenziali di un tempo in “Stelle”.

Quell’incontro fortuito nel salotto di casa si è trasformato in un’affannosa ricerca dei suoi dischi passati e nel desiderio mai sopito di nuovi lavori. Ho trovato un uomo capace di tradurre in parole le mie emozioni, quando io non sono nemmeno in grado di raccontarle a me stesso. Ho incontrato un uomo pervaso da una patina di malinconia che diventa quasi dolce, nelle sue canzoni come negli occhi di M.L. o nei miei. Mi sono incantato davanti alla sua visione del mondo e ho lasciato che mi parlasse della vita e del trascorrere del tempo, subendo tutto il fascino dei suoi anni. Ho realizzato che stavo cambiando sulle note di “E un giorno” , assaporando gli ultimi attimi di un’adolescenza che non c’è più. Mi sono imbattuto in “Lettera” e “Due anni dopo”, “La canzone delle osterie di fuori porta” e “il vecchio e il bambino”, “Farewell” e “Quattro stracci”, “Una canzone” e “Un altro giorno andato”…canzoni che somigliano a capolavori, pitture indelebili di una realtà da affrontare e non fuggire.

Credo che la vita si possa abbellire e la si possa raccontare. Guccini la racconta, e forse è per questo che mi piace ascoltarlo.

In-coscienti quali siete, perché non provarci?



3 commenti:

  1. Ma mi sa tanto che è la prima volta che ti leggo...

    Di solito non mi piace Guccini ma c'era un tempo in cui non mi piaceva nemmeno la rucola e ora invece ne vado pazza...

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    1. L'importante è che non sia l'ultima...

      Ascoltalo per quello che dice, sono sicuro che ti piacerà..o no?

      Grazie del commento!

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  2. Amarillys: "grazie per avermi fatto conoscere farewell eh!é tristissima!"

    Boh: "ma dice la verità!"

    Amarillys :"appunto!"

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