Scrivo
questo post senza sapere cosa ne uscirà, ben conscio che potrebbe anche
risultare uno sproloquio fine a se stesso. Non sono nemmeno sicuro di volerlo
scrivere questo benedetto post: primo perché è mettere a nudo un pezzo di me
stesso e mettersi a nudo prima di conoscersi per bene non è mai bello (e vista
la scarsa frequenza con cui transito da queste parti, noi decisamente non ci
conosciamo così bene…); secondo, perché ho una paura fottuta di cadere nel
banale o – peggio – nel patetico. E
siccome qui il rischio è quello di centrare una magnifica doppietta, lascerei
perdere senza nemmeno pensarci. Vigliaccamente è vero, ma con stile.
E
invece scrivo, in una sorta di atto dovuto verso quella coppia di menabelini
(per i non genovesi, anche se la traduzione intuitiva è senz’altro corretta,
leggasi “rompicoglioni”) di My name is
Nick e Amarillys. Stufi, a ragione, di sentire i miei monologhi, de tempo
mi suggeriscono di molestare i lettori di in-coscienza. E io, con la puntualità
che mi si riconosce, obbedisco.
Iniziando
dall’inizio, of course…
Avevo
dodici anni quando Francesco Guccini ha deciso di manifestarsi in casa mia, con
il disco per me più riuscito: “D’amore,
di morte e di altre sciocchezze”. Era bellissimo.
L’ho
avvicinato per caso, con frammenti rubati all’ascolto di M.L. Mentre lei,
affabile, ripeteva parole che le sembravano cucite addosso, io mi lasciavo
cullare da una melodia che trovavo rassicurante. Non prestavo attenzione alle
parole, convinto com’ero che fossero semplice accompagnamento alle note. La
canzone per me era musica, era il rincorrersi di strumenti, il mischiarsi di
suoni e di note. Le parole rimanevano un qualcosa di vago e sfumato, sapevo che
c’erano ma non le sentivo.
Poi,
senza nemmeno rendermene conto, gli arrangiamenti sono diminuiti di tono e
intensità, lasciando che fosse il testo di ogni singolo pezzo ad esplodere in
tutta la sua potenza. Sognavo di essere il protagonista di “Cirano”, mi sorprendevo a sorridere ascoltando “Il matto”, e incontravo tutti i miei
dubbi esistenziali di un tempo in “Stelle”.
Quell’incontro
fortuito nel salotto di casa si è trasformato in un’affannosa ricerca dei suoi
dischi passati e nel desiderio mai sopito di nuovi lavori. Ho trovato un uomo
capace di tradurre in parole le mie emozioni, quando io non sono nemmeno in
grado di raccontarle a me stesso. Ho incontrato un uomo pervaso da una patina
di malinconia che diventa quasi dolce, nelle sue canzoni come negli occhi di M.L.
o nei miei. Mi sono incantato davanti alla sua visione del mondo e ho lasciato
che mi parlasse della vita e del trascorrere del tempo, subendo tutto il
fascino dei suoi anni. Ho realizzato che stavo cambiando sulle note di “E un giorno” , assaporando gli ultimi
attimi di un’adolescenza che non c’è più. Mi sono imbattuto in “Lettera” e “Due anni dopo”, “La canzone
delle osterie di fuori porta” e “il
vecchio e il bambino”, “Farewell” e “Quattro
stracci”, “Una canzone” e “Un altro
giorno andato”…canzoni che somigliano a capolavori, pitture indelebili di
una realtà da affrontare e non fuggire.
Credo
che la vita si possa abbellire e la si possa raccontare. Guccini la racconta, e
forse è per questo che mi piace ascoltarlo.
Ma mi sa tanto che è la prima volta che ti leggo...
RispondiEliminaDi solito non mi piace Guccini ma c'era un tempo in cui non mi piaceva nemmeno la rucola e ora invece ne vado pazza...
L'importante è che non sia l'ultima...
EliminaAscoltalo per quello che dice, sono sicuro che ti piacerà..o no?
Grazie del commento!
Amarillys: "grazie per avermi fatto conoscere farewell eh!é tristissima!"
RispondiEliminaBoh: "ma dice la verità!"
Amarillys :"appunto!"